Alfredo Roncuzzi (1905-1999), romagnolo atipico, discolo e viziato in gioventù, divenne aiuto farmacista a Camaldoli, dove stava quasi per pronunciare i voti. Poi, convinto dalla madre, si sposò, ma dopo un paio d’anni, non avendo avuto figli, andò in Spagna per combattere con i Requetés carlisti la sua crociata contro i rossi, rifacendosi alle gesta del Cardinale Ruffo di Calabria che aveva lottato contro i francesi “liberatori”.
     Si dichiarava antifascista, ma contrario alle democrazie che irrazionalmente adottano il suffragio universale. Dopo l’otto settembre, in Valmontone, creò il Gruppo Roncuzzi della Brigata Bianca del Lazio, ma respinse la qualifica (e anche le onorificenze) di partigiano: lui era solo un combattente.
     Dopo la guerra si dedicò completamente agli interessi letterari pubblicando una trentina di opere che spaziavano dalla politica, alla storia, al teatro. Coerente con se stesso, fu pressoché “dimenticato” per le sue idee ritenute da fondamentalista, in controtendenza e spesso mutevoli.