Fughe e venti partecipano di condizioni paradigmatiche comuni:
procedere “via da”, “verso” o “contro”; inchiostro e restanza, di una
graduale, progressiva, “stabilizzazione” dello stato: talvolta fino a
rendersene traccia. Ma non sempre gli esiti di un impianto multiforme di premesse condivise sono riscontrabili in conformità con i
presupposti. Nell’impiantito le fughe “tengono insieme” – funzionalmente – “mettono in relazione”, donano sfondo e restanza – così al
gres come al pensare il vuoto –: da pluralità elementale a tenuta di
sistema. E lo stesso accade al vento quando, non dislocando, conferma talune, ancora inusitate, forme di relianza: inchiostro e soffio,
spire di rinforzo alle accidentali complementarità, reciproche nelle
dinamiche volatili dei doppi ossimori, multipli e rimoltiplicati.
In Fughe d’inchiostro e venti di restanza si danno convegno le
annotazioni sparse sul lembo inconosciuto delle traiettorie di volo
tracciate a bordo di una piuma d’ali stilografica (commenti, riflessioni, note a margine sospese; piccole storie scovate tra gli spifferi di
polvere, fiochi nella sera: facezie d’ogni quando e d’ogni dove; suggestioni mute; nodi scrittori e contemplazioni; chiose) seguendo le
volute sbalzate dal pennino. Sono l’errare claudicante, ponderato e
incerto della restanza, il suo punto di fuga atteso e rinviato; sono il
danno fortuito, rimediato dal prezioso abbraccio di una cura-kintsugi
in costante, discontinua impermanenza. Sono i silenzi e sono una
parola: di brezze primaverili impetalata e d’intemperie. E sono
persino qualche schizzo improvvido o le tante escoriazioni aperte
sulla pagina.